domenica 29 aprile 2012

Contro il femminicidio migliaia di firme

http://www.petizionepubblica.it/PeticaoAssinar.aspx?pi=P2012N24060

http://www.rainews24.rai.it/it/video.php?id=27674
 video di Rai News da vedere, su "SNOQ contro il FEMMINICIDIO "


Contro il femminicidio migliaia di firme

di Daniela Amenta da l’Unità, 29 aprile 2012
Cinquantaquattro con Vanessa dall’inizio dell’anno. Una media aberrante, tragica. Un mattatoio. Il mattatoio delle donne in Italia. Cinquantaquattro in quattro mesi. Massacrate, stuprate, violate, uccise. Uccise da uomini che conoscevano. L’Orco difficilmente è lo sconosciuto incontrato per strada o in Rete. E’ in casa l’Orco, il Barbablù, l’assassino. È l’ex che non ci sta, è il fidanzato geloso, è il marito violento.
Moltissime le adesioni, anche di tanti uomini, all’appello di Se non ora Quando eIl Corpo delle donne. Sempre lo stesso rituale. Sempre le stesse vittime. Cambiano nomi, luoghi, situazioni, ma le vittime sono sempre le stesse. Hanno gli occhi scuri di Vanessa, 21 anni di Enna, i capelli chiari di Edyta massacrata il giorno di San Valentino a Modena, il sorriso di Stefania ammazzata dal fidanzato che «l’amava più della sua stessa vita». Le donne hanno detto basta mille volte, un milione di volte. Sono scese in piazza, hanno trovato la chiave di lettura per il femminismo del terzo millennio grazie alle mobilitazioni di Se non ora quando, alla denuncia di Lorella Zanardo attraverso Il corpo delle donne, alle inchieste, alle manifestazioni. Eppure, eppure sembra non bastare mai. Per questo, dopo la morte assurda di Vanessa, parte un nuovo appello che chiede agli uomini di non essere complici di questa strage, e alle donne di tenere altissima l’attenzione. Serve, in questo nostro Paese, una rivoluzione che rimetta le donne al centro della comunità, restituendo loro rispetto e dignità.
Un appello lanciato da Snoq, Zanardo, Loredana Lipperini e che potete firmare anche sul nostro sito, unita.it. Hanno già aderito in migliaia. Dalla leader Cgil Susanna Camusso al segretario Pd Pier Luigi Bersani che su Twitter scrive: «Si uccidono le donne. Le uccidono i maschi. È ora di dirlo, di vergognarcene, di fare qualcosa per stroncare la barbarie». Migliaia di firme: da Roberto Saviano a Renata Polverini, da Beppe Vacca ad Anna Finocchiaro, da Vendola all’Idv, dal direttore dell’Unità Claudio Sardo al presidente della Provincia di Roma, Nicola Zingaretti, che spiega: «Come uomo penso sia necessario impegnarmi affinché questa violenza persecutoria possa arrestarsi».
Una sequenza di nomi: lo stesso sdegno, lo stesso sgomento per commentare il femminicidio. Un neologismo, coniato nel 2009 per la condanna del Messico alla Corte interamericana dei diritti umani dopo morte di 500 donne e la scomparsa di altrettante a Ciudad Juarez. Dallo scorso otto marzo questa parola lugubre e drammatica è stata usata anche per il nostro Paese da Rashida Manjoo, la relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne. «È la prima causa di morte in Italia per le donne tra i 16 e i 44 anni». Il femminicidio indica «ogni forma di discriminazione e violenza rivolta contro la donna in quanto donna». Psicologica, sociale, fisica, fino alla morte: una violenza continua che in Italia continua a mietere vittime per «fattori culturali», quando si considera la donna come un oggetto di proprietà e chiunque «padre, marito e figli» decidono della sua vita. «Con dati statistici che vanno dal 70% all’87% la violenza domestica risulta essere la forma di violenza più pervasiva che continua a colpire le donne italiane» ha detto Rashida Manjoo.
E intanto le donne continuano a morire. Solo il 10% ha la forza di denunciare molestie e abusi. Perché non è facile sfuggire allo stalking, alla violenza. Anzi, diventa un calvario se si hanno figli. Esistono, è vero, residenze protette ma sono poche, gestite con un residuo di fondi. Una piaga mostruosa lasciata in mano al volontariato, soprattutto. Per questo Maria Gabriella Moscatelli presidente di Telefono Rosa, la storica associazione contro la violenza sulle donne, ha scritto al premier «Chiediamo al governo di farsi carico di questa situazione intollerabile. Servono risorse economiche e una Commissione straordinaria per fronteggiare questa tragedia. Sono queste le due condizioni senza le quali nessuna azione può realmente portare a dei risultati». Per la presidente «è evidente che strumenti, risorse e azioni al momento in atto non siano sufficienti». Fondi, certo. E leggi. E impegno. Perché le donne non siano lasciate sole. Soprattutto serve una rivoluzione culturale. Ma bisogna fare in fretta. Subito.

Per firmare la petizione contro i femminicidi

Comunicato stampa.
Cinquantaquattro. L’Italia rincorre primati: sono cinquantaquattro, dall’inizio di questo 2012, le donne morte per mano di uomo. L’ultima vittima si chiama Vanessa, 20 anni, siciliana, strangolata e ritrovata sotto il ponte di una strada statale. I nomi, l’età, le città cambiano, le storie invece si ripetono: sono gli uomini più vicini alle donne a ucciderle.
Le notizie li segnalano come omicidi passionali, storie di raptus, amori sbagliati, gelosia. La cronaca li riduce a trafiletti marginali e il linguaggio le uccide due volte cancellando, con le parole, la responsabilità. E’ ora invece di dire basta e chiamare le cose con il loro nome, di registrare, riconoscere e misurarsi con l’orrore di bambine, ragazze, donne uccise nell’indifferenza.
Queste violenze sono crimini, omicidi, anzi FEMMINICIDI. E’ tempo che i media cambino il segno dei racconti e restituiscano tutti interi i volti, le parole e le storie di queste donne e soprattutto la responsabilità di chi le uccide perché incapace accettare la loro libertà.
E ancora una volta come abbiamo già fatto un anno fa, il 13 febbraio, chiediamo agli uomini di camminare e mobilitarsi con noi, per cercare insieme forme e parole nuove capaci di porre fine a quest’orrore. Le ragazze sulla rete scrivono: con il sorriso di Vanessa viene meno un pezzo d’Italia. Un paese che consente la morte delle donne è un paese che si allontana dall’Europa e dalla civiltà.
Vogliamo che l’Italia si distingua per come sceglie di combattere la violenza contro le donne e non per l’inerzia con la quale, tacendo, sceglie di assecondarla.
Comitato promotore nazionale Senonoraquando, Loredana Lipperini, Lorella Zanardo-Il Corpo delle Donne
Per adesioni: info at senonoraquando.eu
Per firmare la petizione http://www.petizionepubblica.it/PeticaoAssinar.aspx?pi=P2012N24060
http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-722039ee-34de-4c33-8447-a75b640e550d-tg3.html#p=0

Vedi il video del servizio del Tg3 sulla mattanza di donne uccise dall'inizio dell'anno, ben 54

SNOQ di pordenone aderisce all'appello contro la violenza sulle donne, inflitta per mano di chi dovrebbe condividere con felicità una vita in comune, invece da la morte a colei che subisce un rapporto di coppia sbagliato.
Una violenza continua, perpetuata da chi è più vicino alla vittima, che fonda le basi su una presunta superiorità inculcata da una educazione, da una concezione dell'altro del tutto sbagliata, continuamente proposta da una società che è incapace di trovare coesione, inclusione e una prospettiva di vita vera fatta di valori condivisi.

Per combattere la strage di donne bisogna cominciare dall’infanzia

di Lea Melandri da Corriere della Sera, 28 aprile 2012
«Ma come si fa a uccidere una ragazza per un litigio?», si è chiesto il padre di Vanessa Scialfa, la giovane di Enna vittima del fidanzato. La domanda segnala l’incredulità di fronte al ripetersi quasi quotidiano di una violenza che inspiegabilmente esplode all’interno dei legami più intimi. Ma è proprio vero che le ragioni del perverso annodamento tra odio e amore, rabbia e tenerezza, presente da sempre nei legami di coppia e nelle relazioni familiari, sono insondabili? Se la pulsione aggressiva è così diffusa, tanto da poterla riportare al «millenario addestramento» dell’uomo a considerare la donna un suo naturale possesso, se ne deduce che il passaggio all’azione dipende solo dal grado diverso di intensità e di controllo del singolo. Dunque, se scartiamo l’ipotesi di una connaturata malvagità del sesso maschile, possiamo pensare che un cambiamento venga dalla cultura, dall’educazione, dalle leggi, da una conoscenza di sé e dell’altro più consapevole della barbarie che ci portiamo dentro, nostro malgrado. Il femminicidio si può fermare.
Purtroppo però neppure questa sembra, al presente, una strada facile da percorrere, come sa chi ha tentato di rimuovere dalla prima infanzia pregiudizi atavici, «differenze» di identità e di ruoli, precocemente interiorizzati, che costringono i maschi e le femmine a contrapporsi in modo astratto e deformante: da una parte la forza, la padronanza del mondo, dall’altra la docilità e la dedizione alla famiglia.
Un ostacolo viene dai bambini stessi, accomunati da stereotipi che portano i segni della cultura maschile dominante, ma fatta propria da entrambi i sessi. Non c’è niente di più diseducativo per le donne che rivestire il ruolo ambiguo, contraddittorio, di un genere umano che conta meno dell’altro, marginale nella sfera pubblica e sottomesso in quella privata, e che al medesimo tempo viene ritenuto responsabile della sua crescita, della sua felicità, della sua riuscita sociale. Le esperienze innovative fatte in alcune scuole primarie in Italia, e persino nella liberale Svezia, per promuovere relazioni tra i sessi meno condizionate dalle identità di genere, e dalle logiche di potere che vi sono connesse, dimostrano che siamo ancora lontani da quello che è stato il fattore primo e più duraturo del disagio della civiltà.