martedì 29 gennaio 2013

Appello alla manifestazione per la doppia preferenza di genere dei movimenti SNOQ di Ud e Pn e Il Forum delle donne di Ts

I Comitati SeNnonOraQuando di Udine e Pordenone e Il Forum delle donne di Trieste invitano i mass media a presenziare alla manifestazione che le donne di diverse associazioni indicono davanti alla Regione FVG  di Trieste il 1°febbraio 2013, alle ore 10.30, per protestare sulla totale mancanza di attenzione per quanto richiesto più volte  al Consiglio Regionale e nello specifico alla V Commissione (cfr. lettere allegate),  circa la doppia rappresentanza di genere. Nemmeno la legge 215/2012, approvata a livello nazionale, è mai stata acquisita dal Consiglio Regionale per consentire di votare alla prossime elezioni amministrative con tale istituto, che favorirebbe una maggiore rappresentanza dell'elemento femminile nelle istituzioni. E' arcinoto che rispetto ai Paesi della Comunità europea siamo il fanalino di coda come rappresentanza delle donne e che questo incide pesantemente non solo sul piano politico e sociale, ma soprattutto economico, in un momento di grave crisi del nostro Paese.


«Cara Regione, adotta la doppia preferenza di genere»


    La Regione Friuli Venezia Giulia avrebbe una buona occasione per aggiungere al merito di aver ridotto i propri consiglieri, anche il merito di essersi adeguata alla normativa nazionale introducendo per le prossime elezioni di aprile la doppia preferenza di genere . La proposta di legge è stata presentata ma non è passata in discussione all'aula. Mancano pochi consigli regionali prima delle elezioni e non bisogna permettere che continui la vergogna di un'assemblea quasi senza rappresentanti femminili (3 su 60). Dallo scorso anno le donne della regione e la Commissione Regionale per le Pari Opportunità si sono attivate per raccogliere le firme per chiedere l'introduzione di questa norma che ormai è legge dello stato per tutte le altre amministrazioni italiane, ma che nella nostra regione a statuto speciale richiede una legge regionale. E’ necessario a mio parere premere con tutti i mezzi che abbiamo perché venga messa all'ordine del giorno questa legge prima che sia troppo tardi. Bisogna far capire che la mancata introduzione della preferenza di genere in Friuli Venezia Giulia può avere conseguenze elettorali negative per le forze politiche che la osteggeranno e ne impediranno la discussione ed approvazione, visto che l'unica corda sensibile ora è quella elettorale. Le forze politiche dovrebbero esprimersi chiaramente su questo fronte. Se a livello nazionale tutte le amministrazioni locali dovranno seguire questa norma che favorisce la pari rappresentanza di genere , perché il Friuli Venezia Giulia deve rischiare di essere la regione più maschilista della penisola? Non credo che le donne siano disposte sempre ad accettare di non essere rappresentate. Soprattutto in questa situazione politica in cui si sente un vivo desiderio di cambiamento , una maggiore presenza delle donne sarebbe già di per sé una svolta . E’ urgente pretendere che questa legge venga approvata ora e che si apra un dibattito delle forze politiche sui mezzi comunicazione. Sarà interessante il dibattito perché la proposta è trasversale alle forze politiche e quindi non pare che ci possano essere posizioni di schieramento , ma solo di convenienza o di ostilità nei confronti del genere femminile . Bruna Braidotti consigliera commissione regionale pari opportunità Fvg e rappresentante per l’Italia del Women Playwrights International

domenica 27 gennaio 2013

Alessandra Bocchetti: Per vanto, per tigna, per orgoglio

http://www.youtube.com/watch?v=1pFzR1f9eKA



“E’ ricominciato il teatro della politica. Chi vince, chi perde, chi ha la battuta più pronta, chi ha la lingua più sciolta, chi è più furbo, più abile, più spiritoso. Uno spasso oppure la disperazione.
Pochi giorni fa in una delle mie tardive incursioni al mercato, quando già tutti stanno sul piede di partenza e le cassette ormai tutte impilate, ho visto un dignitoso signore che tra gli scarti a terra di frutta e verdura, raccoglieva quello che ancora era possibile raccogliere. Raccoglieva con eleganza come fosse in un orto o in un giardino e non sul pavimento sporco e fradicio del mercato all’ora di chiusura. Per me non è stata solo pena, ma un brusco viaggio nel tempo a  quando i miei figli erano piccoli e, alla vista di qualcuno che chiedeva l’elemosina, mi chiedevano, chi era, perché… Spiegare la miseria è stata per me, giovane madre, uno dei compiti più difficili. La miseria è difficile da spiegare perché fa tanta vergogna. Fa vergognare perché è colpa di tutti.
Viviamo in un tempo in cui è difficile raccontare la miseria. Tutte le mattine invece ci aspettano gli annunci: il paese è più povero, siamo tutti più poveri. Ci informano che i consumi calano, non si vendono più automobili, si viaggia di meno, i saldi sono un flop! Non possiamo più consumare allegramente, ce lo dicono i numeri, le statistiche, i bilanci. L’annuncio più spaventoso è quando ti comunicano che gli investitori fuggono. Così la nostra immaginazione si popola di figure misteriose: gli investitori che fuggono, lo spread che si alza e si abbassa, il debito pro capite che ogni bambino che nasce, creatura innocente, trova già pronto al suo arrivo. Poi ci sono i moniti della Bce, se non della Banca Mondiale o di Draghi in persona, il cui solo nome porta con se  visioni poco serene. In verità poche persone sanno quello che sta succedendo, questi sono gli esperti e i tecnici, lontani mille miglia da tutti noi. Tra di noi c’è chi un po’ si districa, c’è chi un po’ fa finta di capirci, la maggioranza si arrende e si affida. Questo affidamento è la cosa più pericolosa, perché così non si è più veramente cittadini anche se ti sembra.
Chi ci può salvare da un destino così misero è chi è capace ancora di raccontare la miseria fuori dai numeri. Chi è capace di ricordarci che il destinatario della miseria è sempre un corpo umano e chi considera tra i “beni comuni” anche tutti noi, giovani, vecchi, donne e bambini, tutti insieme, tutti in carne ed ossa.
Al mattino alla radio ascolto spesso “Prima pagina” un programma dove un giornalista commenta le principali notizie dei quotidiani e poi dialoga con coloro che chiamano per telefono per parlare delle loro personali esperienze. Lì si possono ascoltare i racconti, che sono spesso crudi e terribili, ma mai misteriosi. Pochi giorni fa una donna raccontava che per via dell’eliminazione del servizio di un pulmino garantito dal  comune del suo paese, non avrebbe potuto più permettersi di fare la dialisi tre volte a settimana e che quindi aspettava di morire. Un’altra donna raccontava che suo figlio non aveva più l’insegnante di appoggio, perché il budget della scuola non poteva più garantirlo. Quella donna temeva per suo figlio un destino crudele in un mondo crudele. Il suo amore, raccontava con dignità, non sarebbe bastato a proteggerlo. Un’altra donna confessava con stupore  di come il suo affetto per i due genitori ormai disabili  stesse mutando a poco a poco nel suo cuore in un inaspettato risentimento.  E’ un effetto della stanchezza, diceva quasi vergognandosi, perché non riceveva più alcun aiuto.
Con questi racconti ecco che l’economia si materializza, così i tagli alle scuole, alla sanità si fanno vedere per quello che combinano e scombinano, per quello che hanno a che fare con i destini delle persone.
Le storie sono tante, diverse, ma hanno sempre una cosa in comune: è sempre una voce di donna che racconta. Le donne sono capaci di raccontare e di svelarci cosa i numeri non fanno vedere.
Perché è soprattutto su di loro che si abbatte la crisi, questa come tutte le crisi della storia, come le guerre, le carestie, le epidemie. Sono sempre state le donne a pagare i prezzi più alti. Camus, ritirando il premio Nobel, dichiarò che gli esseri umani sono divisi  tra coloro che fanno la storia e coloro che la subiscono. E che lui si sarebbe sempre schierato con questi ultimi. Tra questi ultimi ci sono le donne. Non ce ne dobbiamo vergognare. E’ proprio per questo che sappiamo raccontare gioie e dolori meglio degli altri. Ancora a noi, per ora, appartiene la modestia del racconto, quello che non si fa con la penna, ma con la voce. Siamo capaci anche noi di farne arte, certo, ma per la politica sono più importanti i racconti  senza pretese.
Questa volta, speriamo, tante donne entreranno in Parlamento. C’è addirittura chi parla di una vera rivoluzione. Anche io ho lavorato tanto perché questo succeda, quindi ne sarò molto contenta. E’ un primo importante passo, ma non è questa la rivoluzione delle donne, sia chiaro. La vera rivoluzione sarà se le donne saranno capaci di parlare con la propria voce, quella della loro storia, quella appunto che sa raccontare. Rivoluzione sarà, se non se ne dimenticheranno, se non se ne vergogneranno, se la sapranno riconoscere tra le tante e la sapranno ascoltare dentro e fuori di sé. Insomma, voglio dire che la vera rivoluzione sarà solo se riusciranno a restare donne.
Sembra un paradosso, vero? Come si fa a non parlare con la propria voce, a parlare con la voce di un altro? Eppure capita alle donne soprattutto in politica, perché la politica è sempre stato il mondo degli uomini, il mondo del loro potere, delle loro decisioni. E non ha importanza se queste decisioni hanno portato a dei grandi disastri, se scelte sbagliate hanno prodotto milioni e milioni di morti. Comunque gli uomini si sentono autorizzati alla politica e pensano che quello sia il loro territorio, la storia di tanti errori non riesce a delegittimare questa loro certezza. Di fronte a tanta sicurezza, le poche donne che fino ad oggi sono entrate a fare parte di questo mondo, hanno finito per parlare con un‘altra voce. C’è da dire che viene quasi naturale, come entrando in un coro, spontaneamente si segue la voce dominante. Ci sono state delle eccezioni luminose verso le quali ogni donna è debitrice, ma queste eccezioni non hanno fatto ancora la rivoluzione. Così chi ci governa è ancora lontano dalla vita quotidiana, sa poco di cosa succede nelle case, ha magari il sapere dei numeri, o la sua presunzione, ha, o crede di avere, l’arte delle alleanze, ma non ha la voce del racconto, né la capacità di saperla ascoltare. Le donne al seguito.
Con questa storia dei numeri che, avrete capito, io uso come artificio retorico, non vorrei deludere la mia amica Linda Laura Sabbadini, perché lei è una di quelle persone che ai numeri mette l’anima, consegnandoci un paese più leggibile seguendo parametri di pura umanità.
Personalmente soffro quando sento rivendicare la formula del 50 e 50. Detta così, sembra un’arroganza, una spartizione ladronesca, tanto a me tanto a te, un gesto di giustizia rudimentale, la giustizia dell’invidia, bassa, la definirebbe Simone Weil. Si tratta, in realtà, di un’idea tutta nuova, inedita alla storia, del governare insieme di uomini e di donne, non perché gli uomini e le donne sono uguali, ma proprio perché sono differenti, due corpi differenti, due storie differenti, due sguardi differenti. Anche la formula di “democrazia paritaria” con cui si vuole significare questa nuova teoria di governo, non mi soddisfa, perché l’idea della parità è talmente estranea alla realtà umana che questa formula finisce per significare una sorta di idealità troppo astratta. L’”insieme” di cui si parla non sta a garantire un mondo più giusto, ma solo un mondo più equilibrato, che funzioni meglio per tutti, garantito dal doppio sguardo di due esseri che sono sempre stati vicini, ma non sono stati mai vicini per governare i beni comuni, i beni, cioè, che appartengono a tutti coloro che condividono l’esperienza umana,  finalmente senza servi, né serviti.
I segretari dei partiti che hanno accolto questa idea, sono stati più conformisti che veramente interessati, non hanno capito la portata rivoluzionaria di una teoria come questa. Passare dalla civiltà dell’uno alla civiltà del due, è un cambiamento epocale. Non ho registrato né commozione né sgomento.
E le donne ne saranno all’altezza? Il gioco è tutto in mano loro.
Personalmente credo che a salvarci dalla crudele deriva liberista potrà essere solo il sapere delle donne e il loro modo di stare al mondo, se le donne, però, riescono a coglierne il valore. Ma sapranno rendere i racconti che hanno ascoltato, che hanno fatto, strumenti di una politica più attenta alla vita? Sapranno armonizzare la politica dei racconti con la politica dei numeri? Sapranno non dimenticare di essere donne? Altrimenti non vale la pena, meglio sarebbe fare altro.
Certo per loro il compito non è facile, ma le donne hanno una chance in più, secondo me.
Gli uomini hanno dietro di loro un’età dell’oro che è sfuggita per sempre dalle loro mani, legata a un ordine che non c’è più. Questo ordine voleva le donne sottomesse, a casa con i bambini sorridenti o al giardino,  con pochissima istruzione, che tanta non serviva, donne dall’intelligenza disinnescata, che non potevano amministrare i loro beni, che non potevano deporre in tribunale, sempre a totale  disposizione per desideri, capricci e soprattutto servizi. Rarissimi uomini nella storia hanno sofferto per le condizioni misere delle donne. Questo ordine  ogni onest’uomo lo rimpiange nel segreto della sua anima ancora oggi, anche se non tutti sarebbero  disposti a confessarlo. Per questo sentimento segreto le donne ai loro occhi, nel mondo della politica, ma anche in quello degli affari, anche in quello della scienza e dell’arte resteranno delle intruse chissà per quanto tempo ancora. Per loro siamo ancora disordine. E’ bene non dimenticarlo, dovendo fare “un insieme”
Noi donne invece non abbiamo niente da rimpiangere, nessuna età dell’oro alle nostre spalle, nessun ordine ci fa nostalgia, proprio per questo possiamo guardare avanti ad occhi asciutti con animo saldo e piede leggero. Questa è la nostra forza, basta cercarla dentro di sé. Possiamo vincere un premio Nobel, ma anche  raccontare la vita vera come nessuno, perché nessuno la conosce come la conosciamo noi. E poi apparteniamo a quel popolo eletto che si lava le sue mutande da sé e continueremo a lavarcele, per vanto, per tigna e per orgoglio. E questa non è una metafora.
Un grande augurio a tutte le donne che saranno elette, che possiate fare del vostro meglio”.

venerdì 18 gennaio 2013

riunione di SNOQ di Pordenone mercoledì 23gennaio 2013 H. 18.00




ORDINE DEL GIORNO della riunione di mercoledì 23 gennaio h. 18 presso la CGIL di Pordenone:

-Creazione di un documento, sulla questione della RAPPRESENTANZA nel quale lo “SNOQ?” esprimendo il proprio appoggio alle candidature al femminile, per favorire una DEMOCRAZIA PARITARIA, chiede a tutti i partiti e movimenti politici, di adottare le nostre richieste, al fine di meritarsi il voto delle donne nelle prossime elezioni politiche e amministrative.

- Iniziativa di “Voce Donna” e “SNOQ?” contro la violenza maschile sulle donne, promuovendo un convegno-dibattito svolto dal punto di vista maschile: dal titolo “LA VOCE DEL LUPO” con la partecipazione di relatori professionisti.     

-Varie ed eventuali

I temi sono importanti ,è auspicata una nutrita presenza per elaborarli con efficacia.
Un saluto dallo SNOQ di Pordenone  

Elezioni politiche 2013: vogliamo un paese per donne



 
Il nostro Paese attraversa una congiuntura difficile e pericolosa e ha bisogno di energia e coesione per affrontarla.

Le donne italiane, dai margini della vita pubblica e lavorativa in cui sono ancora costrette, sanno che ci sono le risorse per cambiare e lo hanno già dimostrato rivendicando dignità il 13 febbraio 2011 e aprendo così una stagione di risveglio civile.

Si cambia la politica se le donne vi avranno voce e forza. Si cambia se si ascolta il paese e lo si rimette insieme indicando una comune idea di civiltà che ha il suo centro nel progetto dellunione politica dellEuropa.

Noi vogliamo per lItalia il medesimo grande futuro che vogliamo per le nostre bambine e i nostri bambini e vogliamo che si realizzino quelli che ancora sembrano desideri impossibili: diventare madri, avere un lavoro, unimpresa, una scuola di qualità, fare ricerca, unire Sud e Nord, affermare la propria personalità e sentirsi parte di una vita e di una storia comune.

Sappiamo che si può fare, se si vincono resistenze e diffidenze.

Per questo noi, donne di diverso orientamento culturale, religioso, politico dentro e fuori le istituzioni chiediamo a tutti i partiti e movimenti politici, per meritarsi il voto delle donne italiane nelle prossime elezioni politiche e amministrative:

 -la formazione di liste paritarie (con alternanza donna uomo) allo scopo di raggiungere leffettiva parità tra uomini e donne, 50 e 50, nei luoghi della decisione pubblica,

 -la riduzione drastica dei costi della politica, a partire dalle spese elettorali, trasparenza e democrazia nella vita interna dei partiti politici.

- linserimento nei loro programmi di alcune basilari misure per cominciare a fare dellItalia un paese per donne e uomini, come

-           un welfare che consenta loccupazione femminile e offra alle famiglie indispensabili servizi di cura per le bambine e i bambini, le persone anziane e quelle disabili,

-           politiche contro la precarietà lavorativa di giovani e donne,

-           lestensione dellindennità di maternità e del congedo di paternità obbligatorio,

-           il contrasto della violenza contro le donne e del femminicidio,

-           la ridefinizione del servizio pubblico radiotelevisivo italiano in funzione di una nuova idea di cittadinanza, per una rappresentazione rispettosa e plurale delle donne,

-           la promozione di una cultura di genere a tutti i livelli delleducazione,

-           la pienezza dei diritti civili per tutte le donne, omosessuali ed eterosessuali, italiane e straniere, e la cittadinanza per chi nasce in Italia,

-           la difesa e lapplicazione della 194 su tutto il territorio,

-           lobbligo di valutazione dellimpatto di genere di tutti i provvedimenti legislativi e governativi, in linea con le raccomandazioni europee.

Vogliamo siano candidate ed elette numerose donne, forti ed autorevoli, che si impegnino a modificare la realtà e limmagine delle italiane, ad agire per uneffettiva democrazia paritaria nelle istituzioni, nella vita economica e sociale, nelle relazioni familiari e nella informazione e comunicazione. Per fare dellItalia una nazione più giusta, più forte, più coesa, più autorevole in Europa e nel mondo.





                                                                                  Se Non Ora Quando?

Adesso basta “Non chiedete a noi la soluzione”

di Nadia Somma da Il Fatto Quotidiano, 18 gennaio 2013
Le donne sono l’anello debole di una società in cui è parzialmente ancora inculcata l’assurda mentalità della femmina come oggetto del possesso. Lo dico con tutto il rammarico, ma sarebbe bene che di sera non uscissero da sole”, così Francesco Dettori, procuratore capo del Tribunale di Bergamo, ha commentato i tre stupri avvenuti in pochi giorni tra Milano e Bergamo. Eppure anche le sue parole rivelano quel senso di possesso della donna come oggetto, qualcosa che deve essere tutelato e difeso. La tutela della donna, una soluzione antica per una violenza altrettanto antica. Antica quanto inutile. Dopo i tanti vademecum antistupro, i consigli su come vestirsi, atteggiarsi e camminare, i collari antiaggressione, ecco il consiglio di non uscire di casa o di farlo ma accompagnate (da un fidanzato, fratello, marito, padre?).
Chi ci protegge dai protettori?
Ma lo stupro, come la violenza sulle donne, non è un problema di comportamenti femminili e tantomeno di sicurezza. La brutale aggressione avvenuta a l’Aquila che ridusse in fin di vita una studentessa avvenne ad opera di un militare che era in missione proprio per la sicurezza della città. “Chi ci protegge dai protettori? ” domandava un antico slogan femminista. È sempre fuorviante e sbagliato ricercare le cause in comportamenti delle vittime: gli inutili consigli sull’abbigliamento e gli inviti a non essere “provocanti sessualmente” sono solo giustificati dai pregiudizi sullo stupro che colpevolizzano la donna o la responsabilizzano. La violenza sessuale non scaturisce dall’eros perché è legata alla volontà di denigrare, umiliare la vittima e annichilirla. È una metafora della morte ed è piuttosto affine a thanatos.
Cambiare subito l’obbiettivo degli appelli
Testimonianze di stupratori confermano che la scelta della vittima è fatta a prescindere dall’età, dall’aspetto fisico, o dal comportamento. Quanto a non uscire di casa che cosa si dovrebbe consigliare alle donne che con gli autori delle violenze convivono? Sappiamo che le violenze sulle donne da parte di estranei sono solo la più piccola percentuale delle violenze che colpiscono le donne perché nel 75% dei casi, secondo i dati dei centri antiviolenza, sono attuate dal partner. I messaggi o i consigli rivolti alle donne per evitare lo stupro servono solo ad alimentare e mantenere in vita un retaggio culturale che vorremmo lasciarci alle spalle e che continuano a esporre le donne alla stigmatizzazione sociale quando sono aggredite e non agevolano lo svelamento della violenza per permettere loro di elaborarla e chiedere aiuto. Il piano del problema resta di cultura e di civiltà. Ci piacerebbe una volta tanto che i messaggi sullo stupro fossero rivolti agli aggressori, e che non si possa più chiedere alle donne di scegliere tra autodeterminazione e incolumità fisica o sessuale, tra la loro libertà e la loro vita.

Più figli e più lavoro: è questo che vogliono le donne?

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Dovremmo consentirci il tempo di riflettere sulle nostre vite, per essere in grado di rappresentarci, anziché farci rappresentare, in modo insufficiente dalla politica odierna

Più figli e più lavoro: è questo che vogliono le donne?


Che si tratti di economia, di lavoro o di istituzioni politiche, la domanda è sempre la stessa: perché tante disuguaglianze tra uomini e donne, nell’occupazione, nelle carriere, nei ruoli decisionali, nonostante che “quando studiano -come si legge nell’editoriale di Alberto Alesina e Francesco Giavazzi – le ragazze italiane sono più brave dei ragazzi in tutte le materie”? Altrettanto prevedibile è la risposta, per la quale in realtà non servono particolari competenze, ma solo l’attenzione a quello che capita ogni giorno nelle case e nella vita sociale.
Ma se sono due noti economisti a elencare i motivi di queste “differenze straordinarie”, forse è più facile risalire all’origine di quella che è ancora vista come una “questione femminile”, mentre dovrebbe essere ormai chiaro che stiamo parlando di un sistema produttivo, di un modello di sviluppo e di civiltà, che ha preso forma dalla visione del mondo di un sesso solo.
Giustamente Alesina e Giavazzi scrivono che le ragioni della scarsa partecipazione delle donne al lavoro di mercato sono molto “più profonde” di quanto non faccia pensare la mancanza di asili nido e di altri servizi. C’è la “nostra cultura, che assegna alla donna il ruolo di ‘angelo del focolare’ e all’uomo quello di produttore di reddito”; ci sono gli interessi aziendali per cui, “al momento degli scatti di carriera spesso le imprese preferiscono gli uomini (…) perché sanno che in caso di conflitto fra esigenze famigliari e aziendali un uomo sarà più disposto di una donna ad anteporre le esigenze dell’azienda a quelle della famiglia”; c’è la “divisione dei compiti tra lavoro domestico e lavoro retribuito sul mercato” per cui all’interno delle case le donne sono occupate “quasi 80 minuti al giorno in più dei loro compagni”.
Partendo dal dubbio che le donne italiane non siano tanto felici di questo carico di responsabilità in più che impedisce loro di “essere promosse nel lavoro”, i rimedi che vengono prospettati sono quelli di chi, considerando evidentemente come valore primario il buon andamento dell’economia, si preoccupa di dare maggiore centralità al lavoro femminile, detassandolo, rendendo più flessibile il part-time ed estendendolo a donne e uomini, in modo da “riequilibrare i ruoli nella famiglia”. In questa descrizione dell’esistente, in cui si vedono agire uomini e donne in un rapporto “sbilanciato” di mansioni e di poteri, c’è un dettaglio che merita attenzione.
L’aggettivo “nostra”, applicato alla “cultura” che viene messa in discussione, si riferisce inequivocabilmente al contesto italiano, al familismo e alla retorica maternalista, di cui sono portatrici spesso le donne stesse. Nessun dubbio che si tratti, più in generale, di un “noi” maschile, come lascerebbe invece intendere una divisione sessuale del lavoro che appartiene, sia pure in forme diverse, a tutte le civiltà finora conosciute, dove sono stati gli uomini ad avere i poteri decisionali.
Che l’economia e la politica non siano “neutre” e che l’ostacolo principale per le donne -non solo e non tanto per l’accesso a ruoli di potere, quanto alla libertà di esprimersi attraverso molteplici di manifestazioni di vita-, sia la delega che l’uomo ha fatto all’altro sesso dei bisogni elementari della sopravvivenza, è ciò che va dicendo da quasi mezzo secolo la rivoluzione culturale prodotta dal femminismo, dalle sue teorie e pratiche.
A testimoniarlo sono gli scritti di economiste, sociologhe, filosofe, storiche, scienziate, letterate, ma anche le “piccole grandi storie” delle donne che hanno tentato di operare all’interno delle istituzioni pubbliche –amministrazioni, parlamenti, ecc.- “tutte intere”, portandovi cioè la consapevolezza che la quotidianità è un valore, la cura una responsabilità collettiva – non un destino “naturale” della donna e neppure una questione privata-, la persona, i suoi bisogni, il suo diritto alla buona vita, un “fine” in se stesso e non un “mezzo”per incentivare la produzione.
Se non fosse perché la dimensione utilitaristica è diventata il modello unico delle relazioni umane, e le sue categorie, il suo linguaggio il filtro attraverso cui nominiamo e interpretiamo la realtà, definire le donne un “capitale umano”, un “valore aggiunto”, una “risorsa” perduta per l’economia, dovrebbe farci riflettere su quale distorsione ideologica abbia segnato finora il rapporto tra i sessi. Fare figli e lavorare per la ricchezza della nazione non è forse quello che è stato sempre chiesto alle donne e su cui le donne stesse hanno fatto leva per legittimarsi una piena cittadinanza?
Tonina Santi -che ha appena pubblicato una raccolta di scritti, interviste, documenti, articoli di giornale, Costruire il futuro sul filo delle memorie. Gli anni della donne a Como (New Press edizioni, Cermenate(CO) 2012)- non è un’economista ma una ex-consigliera di parità della provincia di Como. La decisione di fare “uscire all’aria aperta” un’esperienza di vita e di lavoro, che come quella di tante donne finisce col restare un “oggetto seppellito” (V.Woolf), la definisce un “atto dovuto” – per “dare valore alle cose che facciamo senza costringerci a diventare ‘come un uomo’ per avere riconoscimenti”- e un modo di trasmettere alle generazioni più giovani la “presa di coscienza irreversibile” che a partire dagli anni ’70 ha cambiato la vita di tante donne.
Su che cosa si debba intendere per “pari opportunità”, sugli ostacoli che stanno dietro le “discriminazioni” a cui vanno incontro le donne nella sfera pubblica, su quanto “spontaneamente” o sotto pressione delle aziende le donne decidano di ritirarsi dal lavoro dopo la nascita di un figlio, sull’esclusione o sul senso di estraneità che suscita in molte di loro la politica, Tonina Santi porta l’analisi lucida e profonda di un pensiero libero da stereotipi e luoghi comuni, capace di cogliere i legami tra ambiti da sempre separati e contrapposti: il privato e il pubblico, la cura e il lavoro, la famiglia e la società. 
“Il prototipo del perfetto lavoratore, soprattutto se dirigente, è ancora quello del maschio, sempre disponibile, che non pone limiti di tempo al proprio lavoro. Il contraltare altrettanto ‘perfetto’ di questa situazione è ovviamente rappresentato da una donna, casalinga o lavoratrice, a cui questo lavoratore delega tutti gli impegni (compreso il suo ruolo paterno) e i problemi che non riguardano il lavoro.”
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“Noi siamo entrate in un mondo disegnato e adeguato ai tempi e alle modalità relazionali degli uomini, a cui ci siamo dovute adeguare, sostenendo la fatica della doppia responsabilità famigliare e lavorativa … Le tante donne entrate nel mondo del lavoro, ed anche quelle che hanno fatto carriera, non sono riuscite ad apportare cambiamenti, ammesso che vi abbiano minimamente tentato. Perché è certamente difficile, ed anche coraggioso, sostenere la fatica di arrivare ad occupare posti di responsabilità, e insieme cercare di cambiare le organizzazioni in modo da creare un maggiore equilibrio tra esperienze differenti (…) Dovremmo consentirci il tempo di riflettere sulle nostre vite, per essere in grado di rappresentarci, anziché farci rappresentare, in modo insufficiente dalla politica odierna.
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 “Donne e lavoro. Chi deve conciliare? Quale è il macigno da rimuovere? E’ l’idea che i figli siano solo un affare di donne, così che tocca alle madri destreggiarsi per conciliare lavoro e famiglia. Il mondo femminile è profondamente cambiato; il mondo del lavoro, organizzato da uomini per gli uomini, rimane rigido e quando è flessibile si traduce in precariato (…) C’è un punto di vista che occorre rovesciare, perché i figli in verità sono un affare della collettività tutta. E’ un rapporto tra produzione e riproduzione che va ripensato, spetta a chi ci amministra, dallo Stato ai Comuni, conciliarsi con la famiglia, la maternità e il lavoro delle donne (…) L’attuale crisi occupazionale può rappresentare un’occasione per progetti che vadano oltre la visione della riduzione dell’orario come emergenza. Vi è per noi, più che per altri, la necessità di ristrutturare il tempo della nostra vita, di modificarne ritmi e valori, aderenti a modelli che sentiamo non appartenerci più. In una parola, si può pensare ad un tipo di vita che sappia armonizzare il mondo della produzione con la realtà sociale? (…) una politica globale del tempo ove si tenga conto che interessi vitali quale il lavoro, la cura delle persone, la vita affettiva, non devono essere eternamente in conflitto.”
Il racconto e la riflessione sulle esperienza concrete che le donne stanno facendo, con fatica ma anche con spirito creativo, nel quotidiano pendolarismo tra casa e lavoro extradomestico, è ciò di cui avremmo più bisogno per delineare quella che Tonina Santi ha chiamato un’ “ecologia del tempo”, un modello di civilizzazione che contempli, in forma non strumentale, le parole felicità, buona vita, benessere umano.


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