mercoledì 27 marzo 2013

riunione del comitato SNOQ? di Pordenone per mercoledì 3 aprile

ORDINE DEL GIORNO della riunione di mercoledì 3 aprile h. 18 presso la CGIL di Pordenone:

-Creazione di un documento e di un eventuale evento, incontro-dibattito con le candidate, sulla questione della RAPPRESENTANZA in vista delle prossime elezioni amministrative.

- Riunione dei comitati del Triveneto sulla legge 194    

-Varie ed eventuali

I temi sono importanti, è auspicata una nutrita presenza per elaborarli con efficacia.

Un saluto dallo SNOQ di Pordenone 


sabato 23 marzo 2013

Fashion day, protesta delle donne



 
Commissione pari opportunità,Cgil e Snoq schierati contro le modelle in centro oggi pomeriggio

La scomunica al fashon day, la manifestazione con le sfilate–di giovani (in prevalenza ragazze)–
e performance nelle vetrine, in programma oggi 23 Marzo a partire dalle 16 in città, arriva dalla 
commissione pari opportunità del Comune, presieduta da Giulia Bevilacqua. «Non crediamo 
che la promozione di città e imprese – commenta la commissaria Anna Pagliaro - debba
passare attraverso iniziative che sfruttano l’immagine femminile. Iniziative che ci rendono una 
provincia reietta e arretrata». Alla contrarietà si aggiunge«la meraviglia per il fatto che questa associazione
sia partecipata da istituzioni, in primis dal Comune che l’8 marzo ha ricordato le donne vittime di violenza».
Il problema «è di tipo culturale – aggiunge Bevilacqua -di una mentalità maschile-centrica che
abusa dell’immagine del corpoFemminile. Le istituzioni hanno il compito di prevenire questa
cultura». Mai come in questo caso le donne fanno squadra. Trattandosi di un’iniziativa commerciale,
analizza la segretaria della Cgil, Giuliana Pigozzo «ci si aspetta messaggi che rispettino la 
dignità delle donne e garantiscano le pari opportunità. Che non significa sicuramente esporre 
anche gli uomini». Senza tralasciare che «l’iniziativa vede sorprendentemente tra i promotori il Comune».
Pigozzo chiarisce: «Non ci sono preconcetti sulle sfilate,ma la professionalità e la competenza
dovrebbero consentire di trovare soluzioni diverse dal sostituire i manichini con le persone». 
Al posto della pubblicità «sarebbero sicuramente preferibili prezzi più bassi e migliori condizioni».
Interviene anche il comitato Se non ora quando con Sonia Sfreddo. «In una città che si vanta 
delle proprie associazioni culturali e delle proprie capacità professionali –dice- ci voleva un
nuovo soggetto come Sviluppo e territorio per fare questa azione di marketing“d’avanguardia”
già da tempo archiviata in città più evolute in Italia e in Europa. Forse non c’è in gioco
solo l’immagine delledonne, ma l’immagine della città che retrocede ad arretrata provincia
di un paese giàretrocesso».
Martina Milia dal Messaggero veneto

venerdì 22 marzo 2013

Clamorosa la bocciatura della doppia preferenza di genere al Consiglio Regionale del Friuli Venezia Giulia



.....Clamorosa la bocciatura al Consiglio Regionale del Friuli Venezia Giulia dell’emendamento della consigliera Annamaria Menosso (Pd) che chiedeva l’introduzione della doppia preferenza di genere a partire dalle prossime elezioni per favorire la parità di rappresentanza fra uomini e donne.
      A far saltare l’accordo tra maggioranza e opposizione è stato, all’ultimo momento, il consigliere Antonio Pedicini (Pdl) che si è impuntato convincendo la maggioranza a votare contro. Enorme il disappunto della consigliera Menosso: «È la dimostrazione del maschilismo imperante in questo Consiglio, si trattava di recepire una norma nazionale dando un segnale importante». Per la presidente della Commissione Pari opportunità Santina Zannier si tratta di «miopia politica, non trovo altre spiegazioni. Ci tenevamo moltissimo e invito tutte le donne a pensarci bene prima di esprimere il proprio voto e a stare attente a chi si ricandida». «Chi si è opposto – conclude Zannier - dimostra di essere coerente con se stesso e di non aver cambiato idea. Io vedo solo tratti di maschilismo».
Dal Gazzettino del 22.3.2013

Donne, pubblicità, stereotipi: fatte con lo stampino


Qualche tempo fa sono stata invitata da Se non ora quando a parlare, in una piazza romana, di stereotipi femminili e pubblicità. Bella sfida: come raccontare in breve, in modo semplice e capace di arrivare a tutte in una piazza affollata, un argomento complesso, controverso e ad alta intensità emotiva com’è quello che riguarda il difficile rapporto tra donne e comunicazione pubblicitaria?
Ci ho messo quasi una settimana per mettere a punto questa presentazione che parla di donne, pubblicità, stereotipi. Volevo che facesse passare alcuni punti chiari.
Il primo punto: la pubblicità non nasce “nel vuoto”. Rispecchia e amplifica e semplifica gli usi e i costumi e i pregiudizi più diffusi. Trasmette il gusto dei suoi referenti aziendali. Si esprime all’interno del più ampio sistema dei media. Questo non vuol dire che la pubblicità sia innocente: ha responsabilità grandi proprio perché è efficace anche quando diffonde e rafforza modelli di ruolo arcaici, sistemi di disvalori, stereotipi deleteri.
Ma la pubblicità può cambiare sul serio, e diventare più rispettosa delle donne solo se, insieme alla consapevolezza degli addetti ai lavori e delle imprese committenti, cresce anche la sensibilità del pubblico.
Nessuna azienda vuole disgustare i suoi clienti proponendo una comunicazione sgradita. Un buon modo rapido – lo sto dicendo da trent’anni, e non mi stancherò di ripeterlo – per interrompere una campagna offensiva, e in generale per migliorare l’intero sistema, è protestare. Farsi sentire. Ma attenzione: bisogna farlo senza veicolare ulteriormente le campagne negative.
Alcune aziende spregiudicate usano lo scandalo e la provocazione come amplificatori dell’investimento, secondo la vecchia logica del “purché se ne parli”:  se una campagna vi offende, scrivete all’azienda. All’agenzia. All’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria. Ai giornali. Al sindaco. Protestate sui social media (su Facebook, tra l’altro, sono attivi diversi  eccellenti gruppi di donne che fanno un gran lavoro di sensibilizzazione). Boicottate i prodotti. Ma non postate la campagna su Facebook. Non contribuite a farla girare.
Il secondo punto: come capita col vino e l’olio, coi romanzi, i film e le scarpe e gli articoli di giornale e mille altre cose, saper riconoscere la qualità buona o cattiva è indispensabile anche quando ci si trova a giudicare una comunicazione pubblicitaria. Dire che “la pubblicità offende le donne” è generico e, credetemi, lascia il tempo che trova. Per difendersi sul serio dalla cattiva pubblicità come cittadini, e per pretendere come clienti che le aziende non producano cattiva pubblicità, bisogna imparare a distinguere. Bisogna stanare gli esempi negativi, spiegarli, disinnescarli.
Alcune campagne sono fastidiose semplicemente perché sono sciocchine o invasive e troppo ripetute. Altre sono irritanti perché rappresentano stereotipi di genere e comportamenti arretrati: tutte quelle madri sorridenti, in piedi davanti alla famigliola seduta, tutte uguali, in cucine tutte uguali, riducono le donne a figurine ancillari, fatte con lo stampino.
Altre campagne ancora usano i corpi (e spesso parti del corpo): mercificano il corpo per vendere. Altre  usano del tutto a sproposito il richiamo sessuale. E alcune sono veramente trucide, violente e offensive.
Vorrei chiarire una cosa importante: il problema non è il corpo nudo in sé, ma il corpo nudo usato a sproposito. Il problema non è la sessualità, ma la provocazione sessuale. Più diventiamo capaci di leggere le immagini, di smontarle, di capire come funzionano, meglio ci possiamo difendere protestando e denunciando.
Un altro modo per difendersi è riconoscere e apprezzare le buone pratiche: sono meno di quanto vorremmo, ma esistono. Dobbiamo valorizzare lo humour, l’intelligenza, la visione, la capacità di raccontare storie capaci di  presentare prodotti in modo piacevole, divertente, amichevole, sorprendente, e di farlo presentando buoni modelli di ruolo e di comportamento.
L’adci, un club che non rappresenta tutta la pubblicità, ma un ampio gruppo di professionisti  sensibili alla qualità del messaggio pubblicitario, oltre un anno fa ha raccolto dettagliate linee-guida in questo Manifesto deontologico.
Si diceva una volta “certi spot sono migliori del film”. Ed eccoci al terzo punto: la qualità creativa media della pubblicità italiana è modesta. In un passato recente  (per esempio quando, qualche anno fa, tutte le maggiori compagnie telefoniche si sono concentrate su cloni di ragazzotte scollate e scosciate, investendo nella diffusione di queste immagini una quantità di soldi) ha toccato livelli davvero bassi.
Ancora oggi non è così frequente vedere spot migliori del film (all’inizio degli anni Ottanta è successo: ma è stata una fioritura creativa brevissima) o pagine pubblicitarie che si fanno guardare con piacere. L’attuale, profonda crisi creativa del mondo della pubblicità rispecchia la crisi di visione delle aziende, e la più ampia crisi di progetto del paese.
Ma raccontando le donne contemporanee, valorizzandone il ruolo, la pubblicità può efficacemente contribuire allo sviluppo di un nuovo immaginario e di una nuova visione, più fertile.
Le aziende devono sentire questa richiesta, forte e chiara.
Le agenzie e i professionisti della pubblicità devono sapere che la vigilanza collettiva su quanto producono è diventata più stretta, puntuale ed esperta. Ci sono diversi segnali incoraggianti in questo senso. Ma il cammino è ancora lungo e dobbiamo percorrerlo tutte (e tutti) insieme.  Annamaria Testa