mercoledì 28 agosto 2013

Quella legge non è da buttare

L’Unità 28 agosto 2013 di FRANCESCA IZZO
Su questioni come la violenza contro le donne e i femminicidi, i toni netti e trancianti non sono certo i più adeguati. E questo vale anche per il giudizio sull’attuale decreto governativo all’esame del Parlamento.
Il movimento Snoq, molto responsabilmente, non lo ha osannato alla sua uscita e non lo rigetta ora che inizia il suo iter parlamentare. È in corso al suo interno, come racconta l’Unità del 26 agosto, una discussione vivace e non potrebbe essere diversamente, trattandosi di un movimento articolato, composito, plurale. Ma alcuni punti fermi mi pare utile richiamarli. La lotta alla violenza è sempre stata una priorità nell’azione di Snoq, un’azione che mira a modificare la cultura e le modalità con le quali combatterla.
Quando, in un clima di rassegnazione dell’opinione pubblica, lanciammo l’appello Mai più complici nel maggio 2012, (contribuendo a diffondere la parola femminicidio nel lin- guaggio dei media e ottenendo un larghissimo sostegno di donne e uomini) volevamo che tutti comprendessero che i femminicidi e la diffusa violenza contro le donne non erano frutto di una loro antica e permanente debolezza ma il segno della crisi dell’ordine patriarcale e della difficoltà di tanti, troppi uomini a riconoscere ed accettare la libertà femminile, nel privato come nel pubblico. Snoq ha detto perciò, da subito, che la violenza contro le donne è un problema degli uomini ed un problema politico di prima grandezza. Non si tratta di una questione sociale, culturale o educativa ma politica perché tocca i rapporti tra donne e uomini e come tale va affrontata, investendo politicamente tutti gli ambiti in cui si manifesta e chiamando gli uomini, nel privato come nel pubblico, a risponderne.
Per cambiare le mentalità occorre dunque tenere strettamente connessi cultura, diritto, leggi, perché le norme sono anch’esse cultura e perché gli interventi istituzionali segnalano che la violenza contro le donne diventa un problema dello Stato, ovvero un problema politico generale.
La campagna di Snoq, insieme a quelle di gruppi e associazioni, di singole ha avuto effetti diffusi in tutti i campi, dai media al Parlamento, dal teatro alle scuole. Fino al decreto legge del governo, oggetto in questi giorni di pubblico dibattito. Si dice da più parti che il decreto in sé non va bene, tradisce una logica emergenziale mentre gli interventi contro la violenza devono essere «strutturali». Un governo, come è noto, se vuole intervenire, ha a disposizione solo i decreti-leggi che devono poi passare al vaglio dei due rami del Parlamento (a meno che non ponga la fiducia). Dunque questo governo se voleva mostrare la sua attenzione e disponibilità a fare la sua parte in questo campo non aveva altro mezzo che un decreto. Quindi si tratta di valutarne il merito, fermo restando che il Parlamento avrà tutte le risorse per modificarlo e migliorarlo, anche con il supporto di un largo movimento di opinione, come si sta profilando con le audizioni già previste.
Venendo al merito, il decreto presenta alcune novità, a mio avviso, positive, mentre ci so- no mancanze che allarmano. Innanzitutto esso non solo costituisce un primo serio riconoscimento istituzionale della gravità degli atti di violenza compiuti contro le donne, ma ne specifica la natura domestica. Se ricordiamo quanta resistenza è stata opposta nella scorsa legislatura alla ratifica della Convenzione di Istanbul proprio in ragione della presenza del reato di violenza domestica, si comprende il salto di qualità politico compiuto. Per non dire delle misure che prevedono l’allontanamento dell’autore della violenza, insomma uscirebbe di casa lui mentre ora è costretta lei a cercare rifugio fuori di casa. I centri antiviolenza vanno sostenuti ed adeguatamente finanziati, ma dobbiamo sapere che non sono presenti in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale, e se non interviene un impegno del pubblico non pare possibile assicurare alle donne, a tutte le donne che ne hanno bisogno, assistenza e protezione. Dubbi sono stati avanzati circa gli inasprimenti delle pene connessi alle nuove misure.
Il punto è che servono ancora norme per dire che una donna non può morire presa a calci in un tinello e riconoscerlo può essere molto doloroso per tutte, ma è necessario chiamare in causa anche il codice penale se vogliamo affermare che quella donna è una persona e che polizia e magistratura devono adeguare le loro azioni e i loro giudizi.
Altri punti significativi come la testimonianza in modalità protetta; assistenza legale gratuita per la donna offesa; la formazione degli operatori o il sostegno alle immigrate vittime di violenza mi fanno ritenere che ci sia bisogno intorno a questo dl di una discussione, nel Parlamento e tra una vasta opinione pubblica, priva di pregiudizi intorno alle questioni controverse, come la querela non ritrattabile, e capace di affrontare i nodi lasciati insoluti. Come tutto il capitolo della prevenzione del tutto assente. Infatti essa deve riguardare l’indispensabile protezione delle vittime ma deve farsi carico anche degli uomini violenti sul piano della prevenzione, rieducazione e repressione altrimenti cambierà molto poco nelle nostre vite. Inoltre va assolutamente diradata la nebulosità in cui è lasciata la copertura finanziaria necessaria a far fronte non solo alle innovazioni previste, ma anche a quelle che bisogna introdurre.

venerdì 23 agosto 2013

Da “Mai più complici” al decreto sul femminicidio

di Laura Onofri, SNOQ Torino
Per concludere, con la pausa estiva, le riflessioni sul decreto legge sul femminicidio, mi sembra giusto ricordare che Se Non Ora Quando ha posto pubblicamente e costantemente la drammatica situazione italiana sulla violenza contro le donne dall’aprile del 2012 quando fu lanciato l’appello MAI PIU’ COMPLICI, appello firmato da circa 60 mila persone e di cui riporto qui qualche stralcio:
….Le notizie li segnalano come omicidi passionali, storie di raptus, amori sbagliati, gelosia. La cronaca li riduce a trafiletti marginali e il linguaggio le uccide due volte cancellando, con le parole, la responsabilità. E’ ora invece di dire basta e chiamare le cose con il loro nome, di registrare, riconoscere e misurarsi con l’orrore di bambine, ragazze, donne uccise nell’indifferenza. Queste violenze sono crimini, omicidi, anzi FEMMINICIDI. E’ tempo che i media cambino il segno dei racconti e restituiscano tutti interi i volti, le parole e le storie di queste donne e soprattutto la responsabilità di chi le uccide perché incapace di accettare la loro libertà.
E ancora una volta come abbiamo già fatto un anno fa, il 13 febbraio, chiediamo agli uomini di camminare e mobilitarsi con noi, per cercare insieme forme e parole nuove capaci di porre fine a quest’orrore……
Vogliamo che l’Italia si distingua per come sceglie di combattere la violenza contro le donne e non per l’inerzia con la quale, tacendo, sceglie di assecondarla.

Questa campagna è stata importante per aver fatto riflettere tanti, persino la nazionale di calcio, su questo tema e per averlo portato alla luce nella sua drammaticità, continuando brutalmente a a tenere il conto delle donne uccise per far constatare che anche numericamene il problema assumeva una rilevanza che non poteva più essere taciuta; per aver ricordato ai media di come il racconto di questi femminicidi non poteva continuare ad usare parole sbagliate, ingannevoli, uccidendo, se possibile, queste donne una seconda volta; per aver chiamato gli uomini a parlarne, a confrontarsi perchè non ci può essere soluzione al problema se non lo si affronta insieme.
E’ stata importante per tutto il nostro movimento, perchè capillarmente tutti i Comitati si sono mobilitati con azioni plurime, diverse per modalità, forme, linguaggi, ma che hanno sempre focalizzato il problema e sono arrivati anche là dove di violenza si parlava solo fra addetti ai lavori.
Non ultimo il lavoro nelle scuole con il nostro progetto “Potere alla parola”, ma anche con altri, che vari Comitati stanno laboriosamente organizzando per cercare di sensibilizzare i più giovani, quelli che spesso la violenza la agiscono perchè nel nostro Paese non si è mai fatta realmente un’opera di prevenzione e sensibilizzazione reale, concreta.
Questo percorso è stato costellato da tanti fatti, tante azioni anche positive come quella che ci ricordal’avvocata Antonella Anselmo:
“Si e’ concluso pochi mesi fa il processo che condanna l’assassino di Stefania Noce, giovane ragazza di Snoq Catania, uccisa dal suo ex e per la prima volta la sentenza parla di femminicidio”
Ma la strada è ancora lunga ed in salita e questo decreto è pieno di qualche luce e molte ombre:
è importante perchè è un atto governativo di riconoscimento politico della grave questione, tanto da ricorrere ad un decreto legge (necessita’ e urgenza) che si spera non precluda futuri interventi strutturali e organici, peraltro già in corso negli ordinari iter parlamentari. Inoltre più che interventi di inasprimento, di diritto sostanziale (ce n’è qualcuno, ma le principali fattispecie di reato erano già contemplate) il decreto introduce piuttosto meccanismi processuali e cautelari e dunque limitati alle sole vicende del processo, per sostenere le donne, anche economicamente (es assistenza legale gratuita indipendentemente dal reddito, testimonianze protette… permesso di soggiorno alle donne immigrate)
In ombra sembra essere tutto il resto (che e’ un mare magnum come sappiamo): manca un chiaro e massiccio impegno statale ad essere presente su tutti i fronti ( prevenzione, educazione, formazione degli operatori, finanziamenti ai centri antiviolenza) Per adempiere agli obblighi internazionali manca soprattutto una vera pianificazione di sistema su tutto il territorio nazionale.
Noi comunque continueremo a far sentire la nostra voce, come abbiamo fatto in quest’ultimo anno e a pretendere che il tema della violenza conro le donne sia affrontato in maniera strutturale, dando ascolto a coloro che sul campo attivamente e concretamente si battono da anni.

La vera risposta alla violenza

Il New York Times commenta la normativa italiana contro il femminicidio

La vera risposta alla violenza
A pochi giorni dall'approvazione del decreto anti femminicidio da parte del Consiglio dei Ministri italiano, Elisabetta Povoledo per il New York Times ha dato voce alle critiche sorte riguardo alla strategia adottata dal governo.
Secondo alcuni esperti, infatti, il decreto - pur avendo il merito di focalizzare finalmente l'attenzione sulla violenza e gli abusi domestici - mancherebbe il suo bersaglio. Ciò che serve all'Italia non sarebbero leggi più severe, ma una migliore rete di assistenza psicologica, legale ed economica per le donne che decidono di porre fine a una relazione violenta.
Nei suoi 12 punti, la misura aumenta le pene previste per i reati di stalking, violenza sessuale e violenza domestica, e stabilisce forme di protezione per alcune categorie di donne più vulnerabili, comprese quelle non munite di permesso di soggiorno. Per il premier Letta essa costituisce "il segno di un cambiamento radicale sul tema".
Non tutti sono d'accordo. Barbara Spinelli, un avvocato femminista che ha scritto una relazione sulla violenza domestica per le Nazioni Unite, dice che apportare modifiche al sistema penale senza affrontare la questione di come tutelare le donne vuol dire chiudere gli occhi davanti alla realtà. Ciò che serve, secondo lei, sono delle riforme strutturali.
Un problema che il decreto non affronta, ad esempio, è quello di fornire accoglienza alle donne maltrattate. A Roma il principale luogo in cui esse possono rifugiarsi è un appartamento da tre stanze vicino gli studi televisivi di Cinecittà. La struttura dovrebbe coprire le esigenze dell'intero Lazio e del centro Italia, ma non può accogliere più di tre donne per volta e per una settimana al massimo.
Secondo le raccomandazioni di una task force del Consiglio d'Europa, i paesi europei dovrebbero avere un posto di accoglienza per ogni 10.000 residenti, riporta il New York Times. Con questa misura, l'Italia dovrebbe avere circa 5.700 posti disponibili per le donne nei rifugi a livello nazionale, ma al momento ne conta solamente 500.
"Il messaggio che arriva alle vittime è: stai a casa, perché se te ne vai non c'è nulla, o molto poco, che possa aiutarti", afferma Emanuela Donato, che lavora per "SOS Donna H24", il servizio di assistenza 24 ore al giorno per le vittime di violenza domestica.
Secondo uno studio realizzato da Eures, un'agenzia dell'Unione europea che controlla gli affari sociali, tra il 2000 e il 2012 sono state 2.200 le donne assassinate in Italia. In media si tratta circa di un omicidio ogni due giorni. Di queste il 75 per cento è stato ucciso dal partner o dall'ex partner. Le Nazioni Unite riportano inoltre, che il 90% delle donne italiane stuprate o che hanno subito abusi, non si è rivolta alla polizia.

martedì 13 agosto 2013

Non basta un decreto

di Michela Marzano
in “la Repubblica” del 13 agosto 2013
Il corpodi Lucia Bellucci è stato trovato chiuso nell’auto dell’ex fidanzato. L’ennesimo cadavere. L’ennesimo femminicidio.
Un’ennesima tragedia che — come si dice sempre dopo — forse si poteva evitare. Dopo, sì. Se Lucia avesse denunciato l’ex compagno. Se la sua denuncia per stalking fosse stata ascoltata davvero. Se, soprattutto, le vittime fossero realmente protette. Ma le loro storie, così diverse, hanno spesso una solitudine in comune. Cristina Biagi, uccisa a Massa dall’ex marito il 28 luglio scorso, aveva sporto denuncia per stalking. Esattamente come Erika Ciurlo, assassinata a Taurisano il 29 luglio. L’aveva fatto anche Tiziana Rizzi, accoltellata in provincia di Pavia l’8 luglio e Marta Forlan, uccisa con diversi colpi di arma da fuoco in provincia di Cuneo. Sono donne e ragazze che, anche dopo aver denunciato i propri mariti, compagni, amanti ed ex, continuano a morire non solo a causa della gelosia, della smania di possesso e della violenza insopportabile degli uomini, ma anche per colpa della mentalità e dell’inefficienza di un paese che non riesce ancora a trovare un modo per ascoltarle, aiutarle e proteggerle. Ormai è quasi ogni due giorni che, in Italia, si registra un femminicidio: sono 78 dall’inizio dell’anno. Nonostante le denunce. Nonostante la legge contro lo stalking in vigore dal 2009 e tutte le altre misure recentemente adottate.
Certo, l’8 agosto, il Consiglio dei Ministri ha approvato un decreto che riguarda proprio la lotta contro la violenza nei confronti delle donne. Certo, questo nuovo decreto, che la Presidente della Camera ha annunciato di voler incardinare in Aula tra il 19 e il 20 agosto, prevede querele irrevocabili nei confronti degli uomini violenti, arresti obbligatori per maltrattamento e stalking, molteplici aggravanti nei confronti dei coniugi e compagni, processi più rapidi verso i presunti colpevoli. Ma si può anche solo immaginare che la repressione possa permettere di risolvere questa piaga contemporanea? Non è solo con un decreto che si possono proteggere veramente le vittime della violenza maschile e prevenire tragedie come quelle cui si sta assistendo impotenti da ormai troppo tempo.
Il dramma delle violenze contro le donne è sintomatico di una società che ha ormai perso tutta una serie di parametri di riferimento. Non è solo una questione di ignoranza e di non-rispetto delle regole della civiltà. È anche e soprattutto un problema di immaturità e di narcisismo. Sono troppi coloro che, insicuri e forse bisognosi di affetto, considerano come un proprio diritto impossessarsi dell’altro e di trasformarlo in un oggetto. Sono troppi coloro che, respinti e allontanati, vivono il rigetto con rancore e risentimento, come se il semplice “no” di una donna li svuotasse di senso. Ecco perché non si tratta di un problema solo legato al tradizionalismo maschilista del passato, ma anche alla fragilità identitaria dell’uomo contemporaneo. Al giorno d’oggi, gli uomini violenti appartengono a qualunque classe sociale e ceto, e alcuni sono anche celebri professionisti. Non conta né il rango sociale, né la situazione economica. Conta la loro incapacità di sopportare la perdita, come se il semplice fatto di perdere la propria donna significasse una perdita d’identità. Il dramma della violenza non lo si può solo combattere con il rigore delle leggi — anche se le denunce per stalking dovrebbero implicare una reale protezione delle vittime, impedendo per esempio il contatto con gli uomini che le hanno minacciate. Non ci si può solo limitare ad annunciare pene più severe, perché nonostante il carattere dissuasivo delle pene non è mai la legge che ha potuto impedire l’esistenza di crimini e delitti. Per contrastare le violenze contro le donne, c’è bisogno di ripensare anche le relazioni umane.
La violenza non la si può eliminare del tutto. Ma la si può e la si deve contenere. E per farlo, la chiave è e sarà sempre l’educazione. Per far capire a tutti e tutte, fin da piccoli, che il proprio valore è intrinseco e non strumentale; che ogni persona, a differenza delle cose che hanno un prezzo, non ha mai un prezzo ma una dignità; che la dignità non dipende da quello che gli altri pensano di noi, da quello che gli altri ci dicono o meno, da quello che gli altri ci fanno. Non si può combattere la violenza se non si educano le donne alla consapevolezza del proprio valore e della propria libertà. Esattamente come non si può combattere la violenza se non si educano gli uomini alla consapevolezza del valore e della libertà altrui.

venerdì 9 agosto 2013

Femminicidio, varato ieri il decreto legge. Misure importanti, ma sufficienti?

violenza donne 2
Laura Onofri – 9 agosto 2013
E’ stato varato ieri il decreto legge sul femminicidio che prevede misure importanti con 12 articoli per il contrasto e la lotta contro la violenza di genere e lo stalking.
Il provvedimento era stato annunciato ai tempi della ratifica della Convenzione di Istanbul dall’allora Ministra alle Pari Opportunità Josefa Idem che lo aveva concepito e organizzato in sinergia con gli altri Ministeri interessati: Interno, Giustizia, Politiche dell’immigrazione, Sanità.
Arresto obbligatorio in flagranza per maltrattamento familiare e stalking; aumento della pena se la violenza è commessa dinanzi a minorenni o su una donna in stato di gravidanza; obbligo di informare la vittima sull’evoluzione del processo; permesso di soggiorno per la donna straniera maltrattata; irrevocabilità della querela (sottraendo così la vittima alle pressoché rituali minacce per la sua rimissione); allontanamento da casa del coniuge violento, in presenza di rischio per l’integrità fisica della donna. Punizioni severe anche per chi utilizzai mezzi informatici per attuare lo stalking.
Sono misure importanti: ma sufficienti?
Questo decreto arriva dopo che già nel d.l. “svuota carceri” si era tentato di inserire norme repressive in materia di violenza domestica e mentre si sta cercando di varare un disegno di legge per una Commissione bicamerale sul femminicidio che consideri il problema nei suoi molteplici profili e quindi non solo dal punto di vista della repressione del maltrattante, ma con un ampio sguardo alle riforme strutturali che vedano al centro la persona offesa così come prevede la Convenzione di Istanbul. Comprendendo che la violenza sulle donne ha una sua specificità e affonda le sue radici in una discriminazione strutturale verso le donne in quanto donne.
Le misute quindi necessarie vanno ricercate nel potenziamento dei Centri antiviolenza per proteggere e tutelare le vittime e nella prevenzione che deve iniziare dai primi anni della scuolacon progetti sulla cultura di parità, privilegiando la prevenzione rispetto alla repressione.