Il movimento SE NON ORA QUANDO, nato dalle piazze il 13
febbraio 2011 e consolidatosi alla fine dell’incontro nazionale di Siena
dello stesso anno, è arrivato a una nuova svolta.
Da più di due anni, nei territori di tutta Italia si sta lavorando sui
temi cari alle donne e presenti all’interno della agenda politica Snoq
(lavoro, salute, rappresentanza, rappresentazione, violenza di genere,
welfare, ecc.) e SNOQ è oramai parte della realtà sociale.
Le donne protagoniste di questa pagina importante dell’attività politica
e della vita culturale del nostro Paese sono arrivate alla conclusione
che è giunto il momento di darsi una nuova struttura, un contenitore di
pensiero e di azioni che permetta a tutte di agire quel pluralismo e
quella condivisione che sono alla base dei documenti fondativi e che
costituiscono il tratto distintivo del movimento.
Il Comitato Promotore che per primo ha dato impulso a Snoq ha lasciato
il passo a un nuovo coordinamento nazionale che ha il mandato di
organizzare la prima assemblea nazionale di questa nuova fase. Tale
coordinamento, composto dalle portavoce dei comitati territoriali e
tematici e da due gruppi generati dallo scioglimento del Comitato
Promotore, Snoq Factory e Snoq Libere, ha un carattere di funzionalità
nei confronti della assemblea nazionale che rimane comunque il momento
sovrano nella vita del movimento.
L’assemblea nazionale, prevista per ottobre, servirà a definire temi,
campagne, strategie di azione e la riorganizzazione dei comitati, in
grado di rispondere a un movimento in crescita, che vuole essere un
solido punto di riferimento per tutte le donne.
Per una migliore realizzazione di questo obiettivo, dal primo incontro
del Coordinamento è stata allargata la struttura che curerà la
comunicazione esterna del movimento e consentirà di mantenere attiva e
puntuale la presenza di Snoq sui media e sui social network.
Nonostante il processo di riorganizzazione del movimento non sia facile,
le donne hanno dimostrato e stanno dimostrando che assieme, con nuove
modalità di confronto basate sulla convergenza e sulla ricerca del
consenso, si può arrivare molto lontano.
Come già sostenuto nella nostra campagna “Mai più
complici”e in tutti gli interventi che
i comitati territoriali di “Se Non Ora Quando” hanno portato avanti -in accordo con il trattato di Istanbul, la
convenzione NO MORE, il Rapporto CEDAW e tutta la ricca elaborazione che arriva
da anni di lavoro sul campo da parte di operatrici e donne competenti - la
soluzione al problema della violenza di genere deve nascere dal riconoscimento
che la questione non è emergenziale ma culturale e va cercata in un’ottica di
educazione alla differenza di genere, alla prevenzione, alla autodeterminazione
della donna.
Il termine “femminicidio” – che il movimento ha contribuito a
diffondere – ha una sua cruciale importanza e deve essere adottato dalle
istituzioni e dalla società tutta a significare la comprensione e la
metabolizzazione del fatto che le donne vengono uccise “in quanto donne” e non
per inesistenti questioni “passionali”. In questo senso le conclusioni del
processo per l’uccisione di Stefania Noce che introducono per la prima volta
nelle motivazioni di una sentenza il termine “femminicidio” e che condannano
all’ergastolo in prima istanza l’assassino per premeditazione sono emblematiche
della direzione che la giustizia e la applicazione della legge devono prendere
nel nostro Paese.
Di fondamentale importanza, inoltre,è il lavoro che i centri antiviolenza e gli
operatori tutti stanno portando avanti perché le donne raggiungano una sempre
maggiore consapevolezza e autonomia attraversoun piano di contrasto alla violenza declinato in ogni possibile forma di
“accompagnamento” nel percorso di fuoriuscita dalla violenza stessa.
Questo significa dunque che la presenza dello Stato
all’interno della battaglia contro la violenza di genere deve prevedere un
robusto intervento di sostegno alla rete dei centri, alle campagne di
informazione ed educazione a partire dai giovani e giovanissimi,a un piano complessivo e generale che
comprenda anche un potenziamento delle possibilità occupazionali che rendano le
donne maggiormente indipendenti e quindi meno ricattabili.
Esiste una legge, la 154/2001, che prevede già moltissimi
interventi a contrasto della violenza domestica e non, integrata dalle successive
specifiche contro lo stalking, ma che purtroppo non viene sufficientemente
applicata.
Il DL sicurezza, varato ad agosto e contenente norme in
materia di violenza contro le donne,si
inserisce certamente in un momento in cui il femminicidio, per i moltissimi
casi che purtroppo si registrano quasi quotidianamente e per l’attenzione
diversa che anchei media vi
riservano,comincia ad essere percepito
anche dall’opinione pubblica come espressione di una violenza tutta maschile
perpetrata contro le donne.In questo senso riteniamo che il DLabbia, quindi,il merito di richiamare all’attenzione della
politica e del Paese tutto il problema della violenza e ci auguriamo possa
fornire reali strumenti perun’
applicazione più rigorosa dellala legge
154/2001.
Nondimeno nel DL sono
contenuti alcuni elementi che ci preoccupano e che riteniamo presentino forti
criticità:
non c’è un impegno concreto a
investire in percorsi educativi e formazione;
non si prevedono finanziamenti ai
centri antiviolenza e alle reti di supporto alle donne;
non si parla di centri di ascolto o
percorsi formativi per gli uomini maltrattanti.
Entrando poinel merito di alcuni punti del decreto,
osserviamo che:
la non revocabilità della querela da
parte delle donne offese è un’arma a doppio taglio. Potrebbe essere applicata
in maniera responsabile solo se si garantisse concretamente alle donne che le
violenze non continuino, ma questo può avvenire solo se viene finanziata e
fatta crescere la rete di supporto alle donne in ogni momento del percorso di
distacco.
l’inasprimento della pena di un terzo
nei casi in cui le violenze vengano perpetrate da un coniuge/partner rispecchia
la frequenza dei femminicidi che avvengono in ambito domestico, ma rischia di
discriminare tutte le altre situazioni di violenza.
Osserveremo
dunque con interesse il prossimo percorso del decreto, augurandoci che le
istituzioni vogliano accogliere, insieme alle nostre, le osservazioni che
giungono da tutto il mondo femminile e da numerose voci competenti. Non c’è
possibile sconfitta della violenza di genere senza un ampio lavoro culturale,
preventivo, educativo.
Laura Eduati, L'Huffington Post | Pubblicato: 11/09/2013
Non avrebbe potuto avvicinarsi all'ex fidanzata e invece, noncurante del
decreto di allontanamento, un ventisettenne ha tentato di far esplodere
l'appartamento della donna che lo aveva lasciato. Il caso di violenza di genere
accaduto oggi a Civitavecchia sembra dare forza alle argomentazioni, espresse
con forza dalle associazioni di settore, secondo le quali il decreto
femminicidio ora in esame alla Commissione giustizia della Camera è
insufficiente a contrastare gli abusi nei confronti delle donne e, come ha
espresso Snoq, “riduce la violenza sulle donne a un problema di ordine
pubblico”. Secondo l'Associazione nazionale magistrati, che ricalca il parere
negativo dei penalisti, è addirittura “incoerente con il sistema penale”.
Questo tiro al piccione contro un decreto fortemente voluto da Enrico Letta
non piace per nulla a colei che ha preso in mano le redini del Dipartimento per
le Pari Opportunità, la viceministra al welfare Maria Cecilia Guerra. Finora
rimasta in silenzio a studiare le deleghe ricevute dopo le dimissioni di Josefa
Idem, ora vuole far sentire la propria voce: “Sono sul fronte insieme con
coloro che vogliono combattere la violenza di genere e voglio centri
antiviolenza in tutta Italia. Se il dl femminicidio presenta incongruenze, si
può cambiare”. E anticipa il contenuto degli emendamenti che vuole presentare:
“Nessun affidamento dei figli agli uomini che si sono macchiati di violenza di
genere”. Mentre sul sessismo dei media ha un'idea precisa: “Rivedere la
conduzione dei programmi televisivi: troppi uomini”. Viceministra Guerra, secondo i suoi detrattori il dl femminicidio
punta soltanto sulla repressione penale e non sulla prevenzione della violenza
contro le donne. Cosa risponde?
Il decreto è aperto a cambiamenti e miglioramenti, e se vi sono incongruenze
naturalmente potranno essere corrette in Parlamento. Si tratta di un primo
importante intervento governativo e spero non rimarrà l'unico. Per questo invito
a considerare i suoi innegabili aspetti positivi: per esempio per la prima
volta nell'ordinamento italiano si introduce la definizione della violenza di
genere secondo le indicazioni della Convenzione di Istanbul. Molti lo leggono però come “poliziesco” e dunque inadatto a
comprendere un fenomeno soprattutto culturale.
A coloro che pensano che contenga soprattutto un aspetto repressivo rispondo
che invece la maggioranza delle disposizioni riguardano la prevenzione: la
possibilità di arresto in flagranza per gli stalker, l'allontanamento immediato
dall'abitazione della persona accusata di maltrattamenti, l'obbligo di avvisare
sull'andamento del processo la vittima che ha denunciato affinché possa
prendere contromisure legali o di sicurezza, ecco, tutte queste misure tendono
a tutelare le donne prima che accada qualcosa di irreparabile. Eppure, come nel caso di Civitavecchia, un ordine di allontanamento
può essere facilmente eluso. Cosa ne pensa?
Il limite tra situazione di rischio e situazione fuori controllo è molto
difficile da tracciare all'interno della violenza di genere ma sono convinta
che il dl femminicidio aiuterà maggiormente le vittime grazie alle misure che
ho appena elencato. Per esempio la possibilità di revocare il porto d'armi ad
uno stalker è sicuramente positiva. Così come è positiva l'introduzione nel
codice di procedura penale dell'obbligo di avvisare la denunciante quando il
violento esce dal carcere o gli viene revocato l'ordine di allontanamento: in
questo modo la vittima può premunirsi anche dal punto di vista legale. Un altro aspetto controverso è il fatto che una denuncia per
stalking sarà irrevocabile. Non rischia di indebolire ulteriormente le donne?
È la stessa Convenzione di Istanbul, ma anche le raccomandazioni
internazionali, a prevedere che la vittima di violenza di genere debba avere un
supporto giuridico di questo tipo. Sappiamo che molto spesso le denunce vengono
ritirate perché le vittime subiscono ritorsioni e minacce da parte dei
denunciati, oppure vivono una situazione di fragilità psicologica che può
spingere a ritenere poco gravi questi reati. E peraltro prima della denuncia
vera e propria per stalking è possibile chiedere un ammonimento allo stalker, e
infine la vittima ha a disposizione 6 mesi per pensarci prima di compiere il
passo decisivo. Quali cambiamenti apporterebbe al decreto?
Personalmente presenterò degli emendamenti affinché nei casi di separazione
non vengano affidati i figli ai genitori, spesso uomini, che si sono macchiati
di maltrattamenti famigliari e violenze. Nel dl femminicidio soltanto l'ultima parte del provvedimento è
dedicato al Piano nazionale antiviolenza. Perché?
L'ho voluto fortemente. Contiene quelle misure che sono invocate
specialmente dalle associazioni impegnate contro la violenza sulle donne e che
ritengo siano fondamentali: la formazione delle forze dell'ordine e degli
operatori sanitari, progetti educativi nelle scuole per insegnare ai ragazzi il
rispetto nelle relazioni sentimentali, maggiore supporto finanziario ai centri
anti-violenza. Il decreto però non stanzia fondi per questi progetti, che rischiano
dunque di rimanere sulla carta.
La definizione del Piano non prevede maggiori oneri per la finanza pubblica,
ma quello che maggiormente importa sono i singoli progetti che nasceranno dal
Piano e per i quali mi batterò affinché abbiano i fondi necessari che per il
momento sono davvero esigui. Non vorrò finanziamenti una tantum ma fondi
strutturali e allo stesso tempo cercherò di indirizzare questi fondi in modo
che sul territorio, ovunque in Italia, possano esistere delle strutture adatte
ad aiutare concretamente le vittime di violenza. Ci vorranno anni, sto parlando
di un obiettivo di lungo respiro, e per questo voglio coinvolgere le
amministrazioni locali per mettere in comune le buone pratiche. Parteciperanno
tutte quelle amministrazioni, dalle asl alle forze di polizia, che dovranno
mettersi in rete, mettere in comune le proprie banche dati, insomma creare un
sistema: è per esempio l'ordine del giorno del prossimo incontro, lunedì, con
la task force interministeriale creata da Josefa Idem. La task-force interverrà anche sulla regolamentazione dell'immagine
della donna nei media?
Un gruppo di lavoro è dedicato a questo tema, che in fondo riprende un
tavolo messo in piedi a suo tempo da Elsa Fornero. Penso sia fondamentale e
agiremo con un sistema di autoregolamentazione dei media, perché il problema
non è soltanto l'immagine sessista ma anche la ruolizzazione della donna,
spesso presentata come casalinga o valletta muta. Ad esempio ritengo necessario
rivedere la conduzione dei programmi televisivi, troppo spesso affidati a
uomini. Ci deve essere parità.